Bologna rispose alla strage alla stazione del 2 agosto 1980 in modo tale da meritarsi, un anno dopo, la medaglia d’oro al valor civile: ognuno fece allora la propria parte. Ce lo racconta una protagonista di quei giorni
Miriam Ridolfi
Ero stata nominata da tre giorni assessore al Decentramento e ai Servizi Demografici del Comune di Bologna (venivo dall’esperienza del quartiere Corticella e dall’impegno sindacale nella Cgil scuola). Avevo terminato il giorno prima gli esami di maturità al Liceo Copernico, dove insegnavo e mi trovavo alle 10.25 a metà di via Indipendenza. Lo scoppio enorme, assordante, che ancora mi resta dentro, mi spinse a recarmi subito in Comune dove diedi vita, con il fondamentale aiuto del responsabile dei servizi demografici Libero Volta e della segretaria del decentramento Paola Sola, pochi minuti dopo l’esplosione, al Centro di Coordinamento. Per prima cosa furono isolate alcune linee telefoniche, realizzando un rapporto immediato con Prefettura, Forze dell’ordine e con un analogo Centro di Coordinamento costituito presso l’ospedale Maggiore dalla dottoressa Teresa Alberti.
Contemporaneamente, in stazione Ivano Paolini, responsabile della Manutenzione del Comune di Bologna, coordinò insieme ai Vigili del fuoco la tempestiva ed efficiente organizzazione dei soccorsi che riuscì a salvare tante vite. Il Centro allestito in Comune cominciò subito a rispondere a quanti erano scampati che, sotto choc, arrivavano a Palazzo d’Accursio indirizzati dalla Polizia municipale. Nelle farmacie furono curate le ferite più lievi, il vitto e il vestiario venne assicurato dai commercianti che si misero subito a disposizione riaprendo le loro attività. Tutta l’organizzazione del Centro poté contare sulla presenza e sull’aiuto prezioso degli assistenti sociali degli allora diciotto Quartieri che accorsero subito, così come sui dipendenti del Comune che in molti rientrarono dalle ferie. Il Centro di coordinamento funzionò ininterrottamente giorno e notte fino al 6 agosto, quando si svolsero i funerali in Piazza Maggiore. Proseguì poi la sua attività per tutto il mese di agosto, trasformandosi in un ufficio del Comune presso l’assessorato alla Sicurezza sociale. Rispose a più di quindicimila chiamate telefoniche, si occupò direttamente anche dei funerali delle vittime e dell’accoglienza e della permanenza dei tanti che assistevano i feriti nei diversi ospedali.
Il Centro fu soprattutto il riferimento per i tanti che si chiesero: «cosa posso fare io?» permettendo a ognuno di poter fare la propria parte. E fu così che vennero messe a disposizione stanze e alloggi, recuperati abiti, donato il sangue, organizzato il trasporto dei familiari dei feriti con auto private, mentre i tassisti trasportavano gratuitamente quanti dovevano recarsi al Centro e agli ospedali. Molti cittadini affiancarono i famigliari all’obitorio e negli ospedali.
E intanto in stazione si lavorò ininterrottamente, tanto che l’ultima vittima fu estratta dalle macerie alle 2 di notte. Le radio pubbliche e private ci aiutarono a rintracciare soprattutto ragazzi in ferie per metterli in contatto con le famiglie.
Tutta la stampa, anche quella estera, diede conto della nostra efficienza. Al punto da pensare che ci fosse un protocollo di emergenza. No, non c’era nessun protocollo. 118 e protezione civile nacquero anche da questa nostra esperienza.
Si trattò di una risposta corale e immediata di una città che, seppur gravemente colpita e stordita, seppe mettere in atto le sue forze migliori.
Quanto a me, entrai in Comune alle 10.40 del 2 agosto ne uscii soltanto alle 19 del 6, dopo aver ricevuto la carezza del Presidente Sandro Pertini poco prima dei funerali in Piazza Maggiore. Ma questo fu possibile perché tutti fecero la loro parte: da mia suocera che accudì ininterrottamente i miei due figli (di 4 e 11 anni) e soprattutto ai sindacati che, nella giornata convulsa di quel sabato, radunarono i cittadini – la piazza era stracolma – rassicurandoli della nostra capacità di tenuta democratica. Furono sufficienti dei cartelli con la scritta «tutti in piazza!». Su quel palco improvvisato parlarono Andrea Amaro, segretario della Cgil di Bologna a nome anche di Cisl e Uil, Gabriele Gherardi, vicesindaco di Bologna, e Lanfranco Turci, presidente della giunta regionale.
Come ribadito anche dal sindaco Renato Zangheri, ai funerali in Piazza Maggiore il 6 agosto, ognuno avrebbe fatto la propria parte ma si pretendeva lo stesso da tutti gli Organi dello Stato.
Nel frattempo, la rete di protezione che circondava la stazione distrutta si riempiva di lettere, fiori, poesie.
Il Centro di coordinamento accolse e aiutò i familiari dei morti e dei feriti (più di 200) e questo contatto continuativo fece nascere nel giugno successivo l’Associazione dei famigliari delle vittime della strage particolarmente voluta dall’indimenticabile Torquato Secci, primo presidente. Quest’Associazione che ha sempre seguito ogni familiare e il faticosissimo iter dei processi, continuamente depistati, è riuscita a trasformare la Memoria in Etica Pubblica.
Io ho imparato che la solidarietà si contagia e se continuativa permette ad ognuno di fare la propria parte. Adesso il nostro compito è di fare memoria attiva di questa strage, come mi chiese nel 2000 una nonna di Asti pensando ai nati dopo il 1980, attivando tante “staffette di memoria”.